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Conversione in legge del DL 19 maggio 2020 n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 (disegno di legge del 6 luglio 2020).

Pubbl. il 06 agosto 2020 ore 12:25

Circolare Agenzia delle Entrate 24 luglio 2020
 
La sicurezza sismica: un investimento per il Paese
 
La normativa sismica italiana, sia in relazione all’approccio progettuale degli edifici nuovi, sia rispetto alle modalità ed all’obbligatorietà della verifica della vulnerabilità degli esistenti, ha subito negli ultimi anni una notevole accelerazione, soprattutto in concomitanza con gli eventi sismici di maggior rilievo che hanno interessato il territorio nazionale.
 
Fu infatti il tragico crollo della scuola di San Giuliano di Puglia del 31 ottobre 2002 a dare la spinta per la pubblicazione – nel marzo 2003 – dell’OPCM 3274 con la relativa nuova e innovativa zonazione sismica del territorio nazionale (precedentemente il numero di comuni classificati come sismici era limitato).
 
Il terremoto dell’Aquila del 2009 portò a rendere obbligatorie le (allora facoltative) NTC 2008 già a partire dal luglio 2009 e il successivo aggiornamento delle norme pubblicato nel 2018 ebbe probabile spinta dallo sciame sismico del 2016 in appennino centrale.
 
 
Nel 2012, a seguito delle sequenze sismiche che avevano interessato le zone dell’Emilia, l’associazione ISI – Ingegneria Sismica Italiana – con la presentazione del Manifesto sulla classificazione della vulnerabilità sismica dei fabbricati si fece promotrice della possibilità di definire una classificazione della sicurezza sismica del costruito.
 
La finalità di detta classificazione, attuabile nel medio termine, è duplice. Da una parte l’analisi e la raccolta di un cospicuo numero di certificazioni delle classi di rischio sul territorio, permette di ottenere scenari macrosomici utili per il dipartimento di Protezione Civile, sia in fase di prevenzione, sia in fase di emergenza. In secondo luogo, l’attuazione di un meccanismo di premialità economica rispetto ad un miglioramento di classe di rischio del costruito costituisce un serio investimento a livello nazionale, affinché le prossime crisi sismiche possano garantire maggiore robustezza del costruito e soprattutto limitate perdite economiche e soprattutto umane.
 
Dal terremoto del Belice del gennaio 1968 si sono spesi mediante 3 miliardi l’anno di costi di ricostruzione post sismica senza poter valutare i costi indiretti, dal patrimonio artistico e paesaggistico, alle attività economiche e produttive all’incommensurabile valore di ciascuna vita umana. Gli interventi per la ricostruzione nelle zone di cratere del sisma sono stati finanziati quasi totalmente con un incremento delle accise sui carburanti per cui, nonostante non siano ancora computati gli oneri relativi agli eventi dell’Appennino centrale del 2016, si dimostra come di fatto il conto economico sia favorevole alle casse dello stato stante le ingenti spese per la ricostruzione.
 
 
Elaborazione Ufficio Studi CGIA Mestre – costo del terremoto elaborato dal Centro Studi CNI
 
 
Elaborazione Ufficio Studi CGIA Mestre – costo del terremoto elaborato dal Centro Studi CNI
 
Sul tema, analizzando comunque gli oltre 120 miliardi di euro spesi in ricostruzione post sismica possiamo domandarci se il costruito italiano sia effettivamente sicuro.
 
La risposta, pur nella sua banalità disarmante, affiora puntuale e sempre nuova ad ogni nuova crisi sismica, peraltro evento tutt’altro che raro in un paese come il nostro, posto al centro di una delle zone più sismicamente attive della regione europea. A questo punto è dovuta una seria riflessione sull’opportunità di spendere ancora e ancora risorse per mettere in sicurezza il patrimonio immobiliare senza che vi sia più alla base un meccanismo di premialità secondo la filosofia stessa con cui era ed è strutturato il Sismabonus.
 
Partendo inoltre dal presupposto che le risorse non sono né saranno mai illimitate e che comunque la finestra temporale necessaria per la messa in sicurezza del patrimonio deve avere una ampiezza di almeno 20-30 anni (da qui appare inadeguato il limite dicembre 2021 proposto dal legislatore), piuttosto che distribuire le risorse a pioggia andando a finanziare anche interventi non correlati col reale rischio del costruito rispetto al sisma, sarebbe opportuno un “supersismabonus” incardinato sulla base delle linee guida del 2017 che incrementasse con maggior vigore la premialità a partire dalle situazione di maggiore rischio (attenzione, si parla di maggiore rischio, non maggiore pericolosità) andando ad estrapolare ad esempio le zone che in seguito alla zonazione manifestano amplificazioni più critiche. La stima reale dei costi necessari per una messa in sicurezza totale del patrimonio è riportata, regione per regione e zona per zona, nei grafici sotto.
 
 
Elaborazione del Centro Studi CNI su dati ISTAT, CNI-Cresme, Protezione Civile 2012
 
 
Elaborazione del Centro Studi CNI su dati ISTAT, CNI-Cresme, Protezione Civile 2012
 
Conti alla mano appare comunque come tutto quanto speso dal 1968 per la Ricostruzione post sismica (circa 121 miliardi di euro attualizzati al 2012) sia notevolmente maggiore all’eventuale spesa necessaria per la messa in sicurezza di tutto il territorio nazionale, ovvero guardando alle zone ove sono più frequenti terremoti importanti (ex zone 1 e 2 OPCM 3274/03) che di fatto possa essere necessario un terzo della spesa.
 
Che la prevenzione sia sempre premiante è quetione nota, appare però oggi urgente, in un quadro di crisi diffusa sia di risorse economiche che di possibilità di sviluppo, sfruttare al meglio quanto è possibile mettere in campo lavorando su tre fattori di primaria importanza.
 
1) La premialità degli interventi: dove occorre, come occorre
2) Il tempo: gli interventi possono aver senso se pensati nel medio lungo termine
3) La qualità degli interventi: occorre che chi pensa, progetta, realizza gli interventi, abbia competenza e capacità.
 
In sostanza, dovendo lo Stato raggiungere il miglior risultato in termini di “assicurazione” sugli eventi sismici futuri, piuttosto di un sostegno economico indifferenziato, a pioggia, si deve operare incentivando quelli a maggior efficacia antisismica. Efficacia misurata in termini di Classi Sismiche come da Linee Guida del MIT. Da qui, ISI segnala alcune gravi incoerenze del DL Rilancio.
 
Superbonus, articolo 119 comma 4 osservazioni
 
La circolare redatta dalla Agenzia delle Entrate al punto 1 delle FAQ recita: ”Con il Superbonus gli interventi di efficientamento energetico (es. cappotto termico e sostituzione caldaia) e di messa in sicurezza antisismica degli edifici godranno di un’aliquota di detrazione pari al 110% del costo degli interventi effettuati. Questa aliquota si applicherà alle spese sostenute dal primo luglio 2020 al 31 dicembre 2021. Il beneficiario potrà scegliere se utilizzare la detrazione spettante in cinque quote annuali di pari importo (questo nel caso in cui effettui direttamente la spesa pagando l’impresa o le imprese che eseguiranno gli interventi), se optare per lo sconto in fattura applicato dall’impresa o dalle imprese, oppure per la cessione del credito ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito con facoltà di successiva cessione. L’impresa o le imprese, che effettueranno lo sconto, acquisiranno un credito d’imposta pari al 110% dello sconto applicato in fattura. Tale credito d’imposta sarà utilizzabile in compensazione sempre in cinque quote annuali di pari importo”.
 
Per quanto concerne gli interventi di messa in sicurezza sismica la definizione degli stessi è rimandata all’articolo 16 del Decreto-Legge 4 giugno 2013.
 
Pur facendo quindi riferimento al Decreto Ministeriale 58 “Sismabonus” e agli interventi correlati al miglioramento della classe di rischio, il comma 4 dell’articolo 119 fa riferimento anche a tutti gli interventi locali di messa in sicurezza statica e sismica, che per le zone a maggior pericolosità prevedevano una precedente detrazione pari al 50%.
 
In questa fase si innesta a nostro avviso un errore metodologico importante, poiché si va a porre sullo stesso piano di beneficio economico un intervento articolato e complesso come il miglioramento di una classe sismica, con interventi di miglioramento locale.
 
Si parificano quindi interventi con basi tecnico-scientifiche ai sensi delle linee guida e della norma tecnica vigente (con approccio alla conoscenza delle garantistiche meccaniche dei materiali da costruzione, valutazione dell’amplificazione sismica locale, modellazione delle strutture etc.), con interventi che per loro natura non richiederebbero analisi statiche o sismiche complesse.
 
Appare evidente che la responsabilità dei tecnici asseveranti in questa fase sia davvero importante.
 
A differenza della classificazione energetica inoltre, la classificazione sismica è correlata sempre ad un intero edificio e non per una singola unità immobiliare.
 
Il concetto, di per sé ovvio per tipologie edilizie moderne come condomini, capannoni industriali o ville singole, può invece essere soggetto ad interpretazioni tecniche di diversa natura, ed in molti casi ad inapplicabilità.
 
La confusione in questo senso può essere importante poiché, in molteplici casi non sempre un intervento locale privo di corretto dimensionamento può apportare vantaggi ad un intero complesso edilizio organico, quando non ne costituisce svantaggio.
 
Si pensi ad esempio ai centri storici dei borghi più antichi, in cui vi è continuità strutturale tra edifici, oppure agli edifici in aggregato, eventualmente caratterizzati da superfetazioni ed ampliamenti susseguitisi nel tempo.
 
Questi casi, che comunque andrebbero valutati nella singola specificità da un tecnico esperto, possono essere risolti utilizzando modellazioni avanzate, in modo che siano identificati il comportamento globale del fabbricato con le condizioni al contorno più adatte, ed il comportamento dell’aggregato.
 
Parimenti nel disposto normativo non viene considerato debitamente l’effetto temporale, variabile a nostro avviso fondamentale per interventi strutturali importanti come quelli correlati alla sicurezza sismica dei fabbricati.
 
Il panorama attuale prevende infatti che il meccanismo del Sismabonus consenta detrazioni per lavori progettati, effettuati e asseverati sino al 31 dicembre 2021 ed allo stato attuale, nonostante le quasi quattro annualità trascorse, non è ancora possibile effettuare un bilancio adeguato sulla mole degli interventi proprio in relazione alla complessità degli iter per la realizzazione degli stessi. Sarebbe stato più utile a nostro avviso incrementare la finestra temporale legata alla fattibilità della messa in sicurezza anche per aver modo di testare e consolidare un meccanismo di premialità, sia riguardo ai prezzi del mercato immobiliare per gli immobili dotati di adeguata classificazione, sia in relazione a un meccanismo premiale legato alle assicurazioni.
 
 
 
Infine si appone una piccola nota riguardo alla mappa di pericolosità sismica cui rimanda sia il disposto normativo sia il documento della agenzia delle entrate.
 
Se le zone sismiche definite dall’OPCM 3274 sono di fatto oggi obsolete rispetto alla valutazione della pericolosità sismica di un territorio, vengono tuttavia spesso usate come discriminante per l’attuazione di interventi finanziati di messa in sicurezza in svariati ambiti. Dall’uscita dell’OPCM del 2003 le regioni hanno legiferato in materia di pericolosità sismica e la mappa sismica attuale, aggiornata al 31 gennaio 2020, indica notevoli aree variegate di per sé soggette ad interpretazione.
 
Una misura di PGA o altra variabile sismologica usate come discriminante avrebbe forse fornito un sistema scientificamente più corretto e in linea con la virtuosa strada della “semplificazione” che la pubblica amministrazione pare aver approcciato, tuttavia al momento l’unico documento utile e quello qui proposto e non è chiara la modalità di valutazione delle zone “ibride”.
 
L’ingegneria sismica, eccellenza italiana per l’Europa
 
La possibilità di redigere una classificazione sismica del costruito costituisce dal 2017 un passo importante per la concretizzazione di una reale politica di prevenzione rispetto al rischio sismico, soprattutto in un paese come il nostro, caratterizzato da un’alta pericolosità e da una estrema vulnerabilità del costruito.
 
Lo strumento della classificazione sismica potrà davvero costituire una “svolta” in termini di prevenzione se sarà applicato con rigore e competenza da professionisti esperti. Se verrà equiparata ad interventi locali o di leggero rinforzo si corre il rischio che si svuoti del valore scientifico e tecnico cui oggi è possibile attribuirgli.
 
L’auspicio quindi è che la competenza dei tecnici, unita all’importante strumento fiscale di incentivo, possa nel medio periodo diffondere lo strumento della classificazione sismica al di là di qualunque altro approccio, confidando che decisioni successive possano ampliare la finestra temporale ad oggi davvero limitata rispetto all’auspicio di un paese sismicamente più sicuro.
 
                                                                                                                                                        Ing. Silvia Bonetti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


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